Quante volte è capitato di sperimentare una situazione di blocco emotivo? Un momento nel quale, ad esempio, non si riesce a scrollare di dosso una forte ansia che offusca ogni decisione, anche la più semplice. Non riuscire ad allontanare un profondo senso di malinconia che emerge appena ci troviamo soli a casa oppure, visto che siamo in piena (e grazie a Dio quasi COVID free) calura estiva, a non sentirsi adeguati in spiaggia tra i bagnanti in costume e passare il tempo sotto l’ombrellone a vergognarsi ora dopo ora. A passare le vacanze a soffrire, insomma.
Normalmente è piuttosto comune sperimentare questo tipo di impasse, ma se queste situazioni tendono a ripetersi o, peggio, a cronicizzarsi, significa che ci troviamo di fronte a degli episodi di conflitto interiore che non ci permettono di vivere nel modo più sereno e funzionale l’avvicendarsi degli avvenimenti nel corso delle giornate, dei mesi e degli anni e che riducono la nostra esistenza sociale (e non solo) a una lista di luoghi, situazioni e persino persone da evitare.
Stiamo ovviamente parlando di casi limite, ma solitamente non è difficile raggiungere un elevatissimo livello di disfunzionalità emotiva nel corso del tempo se non si interviene in modo adeguato, causando veri e propri handicap nella vita della persona che finisce per subire delle importanti limitazioni in ogni sfera della quotidianità, incluse quella degli affetti e della vita professionale. Per fortuna, la psicoterapia può senza dubbio aiutare a risolvere il problema in via definitiva.
L’approccio cognitivo comportamentale
La psicoterapia cognitivo comportamentale (CBT) prevede un’approccio che identifica i meccanismi cognitivi alla base della generazione del pensiero: questi variano a seconda del paziente e, una volta identificati, permettono di insegnare a chi sperimenta queste difficoltà a sostituire il pensiero disfunzionale con quello funzionale ed eliminare il problema emotivo con facilità. Quando questo si verifica e il paziente è in grado di risolvere l’impasse in autonomia, significa che lo strumento terapeutico è stato acquisito e che sarà disponibile all’uso per sempre.
“Io non sono il mio stato mentale”
Gli approcci cognitivisti sostengono che non sia tanto il contenuto delle nostre credenze, pensieri o convinzioni a influenzare il disagio e la sofferenza, quanto l’atteggiamento che abbiamo nei confronti dei nostri pensieri (Harris, 2011).
In altre parole, non sono i pensieri e le emozioni in sé a farmi stare male, bensì il modo con cui li affronto. Se mi sento così agganciato ad uno stato mentale, tanto da considerarlo la realtà assoluta (“ho un pensiero di inadeguatezza” = “sono inadeguato”), questo mi fa stare male e io non ho “spazio mentale” per arricchire e seguire i miei obiettivi personali.
Nella pratica, più lottiamo contro i nostri pensieri, più sprofondiamo insieme a loro nelle crisi e nella sofferenza emotiva. Quando invece impariamo ad accettare le nostre convinzioni, emozioni e sensazioni corporee per quello che sono e dirigiamo la maggior parte dei nostri sforzi verso i nostri valori personali, i nostri scopi e obiettivi di vita (piccoli e grandi che siano…), questo ci permette di trovare soluzioni più efficaci e funzionali.
In poche parole, il percorso di psicoterapia cognitivo comportamentale, tramite una serie di esercizi e schemi operativi, riesce a scavare fino alla radice delle proprie credenze e convinzioni che rappresentano le direttive di tutte le nostre azioni e dei nostri pensieri. Da qui, costruire un nuovo modo di pensare che ruoti attorno agli scopi di vita individuali, riprogrammando eventuali disfunzionalità, rappresenta sicuramente il cuore del processo terapeutico. Insomma, potremmo dire con sicurezza che più impariamo a conoscerci e meno entriamo in conflitto con le nostre emozioni. Per una vita migliore e nel pieno controllo delle nostre scelte.