I Disturbi del Comportamento Alimentare: dall’insorgenza alla cura

“È un problema che nasce da un cattivo rapporto con i genitori?”

“È dovuto alla pressione sulla magrezza esercitata dai media e dal mondo della moda?”

“È una scelta personale o una malattia?”

“È una richiesta di aiuto o una protesta?”.

Come per la maggior parte dei disturbi mentali, non è possibile individuare una causa unica ma un insieme di fattori che possono associarsi e interagire in misura e in modo diverso tra loro nel singolo caso, per favorire l’insorgenza e il mantenimento di un disturbo alimentare.

I fattori di rischio che accrescono la probabilità di sviluppare un disturbo dell’alimentazione includono:

  • storia familiare in cui sono presenti persone con disturbi dell’alimentazione, depressione o abuso di sostanze
  • critiche ricorrenti sulle proprie abitudini alimentari, l’aspetto fisico e il peso corporeo
  • eccessiva attenzione a mantenersi magri, soprattutto se combinata con una necessità lavorativa, come accade per esempio per ballerini, modelle e atleti di alcune discipline, o con la pressione sociale
  • tratti di personalità ossessiva, disturbi d’ansia, bassa autostima, tendenza al perfezionismo
  • esperienze particolari, come abusi fisici e psicologici o la morte di una persona cara
  • relazioni difficili con familiari, colleghi o amici
  • situazioni particolarmente stressanti al lavoro, a scuola.

Cosa fare? Quali sono le terapie da intraprendere?

L’approccio più efficace per il trattamento dei disturbi dell’alimentazione è quello multidisciplinare e integrato. I disturbi dell’alimentazione sono infatti disturbi psichiatrici con importanti manifestazioni psicopatologiche ed una alta frequenza di complicanze mediche: è quindi necessaria una collaborazione tra diverse figure professionali che si occupino in modo integrato di questi diversi aspetti (psichiatri, psicologi, nutrizionisti, medici di medicina generale, internisti, endocrinologi, pediatri, neuropsichiatri infantili).

Il trattamento dei disturbi dell’alimentazione può essere svolto, a seconda delle necessità, in modo più o meno intensivo. Il luogo ideale per il trattamento di questi disturbi è il contesto ambulatoriale perché non interrompe la vita del paziente e i cambiamenti effettuati tendono a persistere perché conseguiti dal paziente nel suo ambiente abituale di vita (NICE, 2004). Il trattamento ambulatoriale può quindi essere considerato il trattamento di prima scelta: solo nei casi molto acuti o di mancato miglioramento dovrà essere preso in considerazione un trattamento più intensivo, come il trattamento semi-residenziale in day-hospital o il trattamento residenziale.

Allo stato attuale, le ricerche mostrano come la terapia cognitivo comportamentale CBT-E, sviluppata presso l’Università di Oxford da Christopher Fairburn, rappresenti la miglior scelta terapeutica per i disturbi dell’alimentazione.

Terapia cognitivo comportamentale migliorata (CBT-E)

La CBT-E ha come obiettivo quello di affrontare la psicopatologia specifica del disturbo alimentare e i processi che la mantengono, adottando strategie e strumenti specifici volti a modificare i comportamenti problematici e a ridurre il bisogno assoluto di magrezza.

La CBT-E usa in modo flessibile strategie e procedure terapeutiche per affrontare la psicopatologia individuale del paziente, per fare questo il terapeuta e il paziente lavorano assieme, come una “squadra”, per superare il disturbo dell’alimentazione. Il paziente è incoraggiato a diventare un attivo partecipante nel processo di cura e a vedere il trattamento come priorità.

Si tratta di un trattamento altamente individualizzato che non adotta procedure coercitive e prescrittive: al paziente non viene mai chiesto di fare delle cose che non è d’accordo di eseguire, perché questo può aumentare la sua resistenza al cambiamento.

Il paziente è aiutato a comprendere la funzione psicologica del controllo del peso, della forma del corpo e dell’alimentazione, i danni che comporta e a costruire in modo collaborativo la formulazione personalizzata dei principali processi di mantenimento del suo disturbo dell’alimentazione, che diverranno il bersaglio del trattamento. Solo dopo la condivisione dei problemi da affrontare si pianificano, con il paziente stesso, le procedure per affrontare le varie espressioni del disturbo dell’alimentazione.

 L’obiettivo della CBT-E è aiutare il paziente a sviluppare uno schema di valutazione di sé più articolato e non dipendente in modo predominante o esclusivo dal peso, dalla forma del corpo e dal controllo dell’alimentazione

L’intervento psicoterapeutico CBT-E persegue il raggiungimento dei seguenti obiettivi specifici: 

  • rimuovere la psicopatologia del disturbo alimentare (alimentazione disturbata, peso insufficiente, comportamenti estremi di controllo del peso e preoccupazioni su alimentazione, forma e peso);
  • correggere i meccanismi che hanno mantenuto la psicopatologia specificata nella formulazione del caso del paziente;
  • assicurare che i cambiamenti siano duraturi nel tempo (Fairburn, 2008).

La CBT-E si articola in 3 fasi principali:

– la fase iniziale ha l’obiettivo di coinvolgere i pazienti e 
di aiutarli a prendere la decisione di riprendere peso, affrontando la psicopatologia del disturbo alimentare;

– la seconda fase si concentra sul raggiungimento del recupero del peso e allo stesso tempo si rivolge ai meccanismi chiave che mantengono la psicopatologia del disturbo alimentare. L’obiettivo è aiutare i pazienti a raggiungere un peso corporeo che possa essere mantenuto senza restrizioni dietetiche, con conseguentemente miglioramento della qualità di vita, anche sociale;

– la terza ed ultima fase si concentra sull’aiutare i pazienti a mantenere il proprio peso. L’obiettivo è garantire che i progressi siano mantenuti e che il rischio di ricaduta sia ridotto al minimo (Frostad et al., 2018).

Nel caso di pazienti minorenni i genitori sono sempre coinvolti nel trattamento al fine di creare un ambiente domestico che faciliti il cambiamento della persona con disturbo dell’alimentazione e per aiutarla a implementare alcune procedure del trattamento.

ALTRE TERAPIE

Dialectical behavior therapy (DBT)

La Dialectical Behavior Therapy (DBT), ideata da Marsha Linehan (1993), integra gli aspetti derivanti dalla terapia cognitivo comportamentale, che enfatizzano il problem solving, e quelli che derivano dalla Mindfulness, improntati all’accettazione. In estrema sintesi, la DBT insegna ai pazienti modalità efficaci (abilità) per acquisire flessibilità, integrare i dilemmi dialettici alla base della sofferenza umana e comprendere quali aspetti della vita accettare e quali cambiare. Nel 2011, Debra Safer, professore di psichiatria e scienze comportamentali dell’università di Stanford, ha validato la parte dello skills training adattandola ai disturbi dell’alimentazione.

Lo skills training DBT per i disturbi dell’alimentazione proposto da Safer (2011) si configura come un percorso di apprendimento delle seguenti abilità:

– le abilità di Mindfulness per regolare le proprie emozioni acquisendo la capacità di osservarle e descriverle in modo non giudicante;

– le abilità di regolazione emotiva forniscono la chiave per comprendere il proprio funzionamento emotivo e modificare in modo funzionale la propria sofferenza;

– le abilità di tolleranza della sofferenza insegnano a tollerare e superare le situazioni di crisi senza peggiorare le cose. Inoltre aiutano ad accettare la propria vita così come è, cercando comunque di viverla appieno.

Insieme a queste abilità viene insegnata anche la MINDFUL EATING che facilita un’esperienza di coinvolgimento consapevole attraverso l’uso dei cinque sensi cui esplorare con curiosità le proprie reazioni al cibo e ai segnali interni di fame e di sazietà (Bays, 2009).

 

Family Based Therapy (FBT)

Originariamente sviluppata alla fine degli anni ’70 da un gruppo di ricercatori guidati da Christopher Dare e Ivan Eisler presso l’Institute of Psychiatry del Maudsley Hospital di Londra. Il trattamento è una forma particolare di terapia familiare empiricamente supportata per gli adolescenti affetti da anoressia nervosa che hanno un disturbo di breve durata (Lock & Le Grange, 2013; Lock, et al., 2010). Il trattamento non si allinea con un particolare approccio terapeutico, ma integra un insieme di procedure di varie scuole di psicoterapia, come la terapia familiare sistemica, strategica, narrativa e strutturale.

I principi base del FBT sono:

– restituire competenza genitoriale

– avere un ruolo attivo come terapeuta nel cambiamento

– rispettare l’adolescenza

 

Nell’ambito della Family Based Therapy si colloca il New Maudsley Model (J.Treasure) che ha come obiettivo quello di lavorare con la famiglia, aiutandola a scoprire le proprie risorse e trovare nuove strategie per la gestione della persona malata, sviluppando la capacità di lavorare a cambiamenti positivi.

 

Cognitive Remediation Therapy (CRT)

Si tratta di un intervento che consiste in esercizi cognitivi che hanno lo scopo di migliorare le strategie cognitive, le abilità di  pensiero e il processamento delle informazioni attraverso la pratica. La CRT promuove la riflessione sullo stile cognitivo e quindi incoraggia a pensare su come si pensa e aiuta ad esplorare nuove strategie di pensiero nella vita di tutti i giorni

Gli obiettivi della CRT sono:

– aiutare attraverso l’esercizio le connessioni cerebrali nella speranza che questo possa implementare la funzionalità;

– incoraggiare i pazienti a riflettere sugli esercizi come un modo per aumentare la consapevolezza del proprio stile di pensiero;

– motivare al cambiamento ed essere consapevoli che si può imparare nel corso della vita anche dai propri errori può rendere possibile risultati sperati in tutti gli aspetti della vita.

L’idea alla base della CRT nel trattamento dei DA è di modificare le caratteristiche cognitive come l’inflessibilità e l’attenzione eccessiva ai dettagli per aumentare l’efficacia della terapia. Man mano che i pazienti diventano più consapevoli dei loro stili di pensiero, si troveranno in una posizione migliore per lavorare verso il cambiamento. La CRT è stata introdotta per la prima volta come trattamento per i disturbi alimentari nel 2005 come nuovo approccio per gli adulti con SEAN (Davies & Tchanturia, 2005; Tchanturia, Whitney, & Treasure, 2006). La CRT da allora è stata codificata come intervento breve manualizzato per AN (Tchanturia et al., 2010).

Non è un trattamento autonomo per i pazienti con disturbi alimentari, ma è un trattamento flessibile che può essere utilizzato in combinazione con una serie di altri trattamenti mirati per i disturbi alimentari. Facilita l’ingaggio e la motivazione per incoraggiare i pazienti a sentirsi più sicuri nell’utilizzo di nuove strategie cognitive per risolvere i problemi in modo più efficiente.

Conclusione

E’ importante sottolineare  il ruolo primario che assume la relazione terapeutica tra la persona e il terapeuta, oltre le specifiche terapie di intervento sui Disturbi Alimentari. Creare sintonizzazione emotiva, comprendere profondamente, entrare in connessione con l’altro sono e saranno le componenti più preziose per chi richiede aiuto.

 

abbi buona cura
del tuo corpo,
è l’unico posto
in cui devi vivere„
(Jim Rohn)

Dott.ssa Laura Angella

Psicologa e Psicoterapeuta presso Centro Itinera.

Dott.ssa Carolina Posenato

Psicologa e Psicoterapeuta presso Centro Itinera.