Dalla descrizione del paziente...
“Ha iniziato a mangiare molto meno, a mangiare solo frutta e verdura, a saltare i pasti. Conta le calorie di tutto quello che mangia, ha iniziato a pesare il cibo e non vuole che si cucini per lei. In poco tempo ha perso molto peso, non ha più il ciclo mestruale. Ha paura di ingrassare, dice di vedersi grassa quando tutti le dicono che è troppo magra, dice che sta bene così e non ha bisogno di aiuto. Non è più quella di prima, è scontrosa, non le si può dire nulla. Si isola, esce molto meno, non vuole più andare a mangiare fuori. Sembra molto giù, spenta”
“Mi capita di mangiare tantissimo in poco tempo, molto velocemente! Perdo completamente il controllo, non riesco a fermarmi. Penso continuamente al cibo, a cosa posso mangiare e a cosa non devo mangiare e se mangio qualcosa che non avrei dovuto mangiare sto malissimo, mi sento in colpa e uno schifo! Se sgarro salto i pasti successivi, oppure vado a vomitare o cerco di smaltire camminando, stando in piedi o facendo esercizi. Se riesco a stare alle mie regole mi sento bene”
“Mangio in continuazione, non riesco a fermarmi, mangio molto veloce, fino a stare male. Mangio anche se non ho fame, ormai non sento più quando ho fame. Questo succede quando sono sola, con le altre persone mi imbarazzo. Dopo mi sento in colpa, un fallimento totale, provo disgusto verso me stessa; non mi rendo nemmeno conto di quello che mangio e di quanto mangio, la mia vita ruota intorno al cibo e mi sembra di non riuscire a concludere nulla”
Queste descrizioni illustrano le principali caratteristiche psicopatologiche (criteri diagnostici) presentate da persona affetta da un Disturbo Alimentare e nello specifico si riferiscono ad Anoressia Nervosa, Bulimia Nervosa e Disturbo di Alimentazione Incontrollata (BED). Queste tre categorie rientrano tra le principali categorie diagnostiche elencate dal DSM-5 (manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) nella sezione “Disturbi della nutrizione e dell’Alimentazione” e sono quelle di cui ci occuperemo in questo articolo. Data la netta prevalenza dei Disturbi dell’Alimentazione nella popolazione femminile, parleremo al femminile.
...alla definizione scientifica
Non entreremo nello specifico delle differenze tra queste categorie, ma ci focalizzeremo sui fattori specifici di un disturbo alimentare, facendo riferimento al modello psicopatologico cognitivo di Fairburn che rappresenta il trattamento d’elezione per la cura dei disturbi alimentari e che viene descritto nei primi anni ottanta del Novecento e successivamente migliorato negli anni Novanta (Fairburn, Marcus e Wilson 1993). In questo modello il nucleo psicopatologico centrale che mantiene il disturbo alimentare è determinato da un’eccessiva preoccupazione per il peso, per le forme corporee e per il controllo: mentre la maggioranza delle persone si valuta in base al proprio valore in altri domini della vita (scuola, amicizie, lavoro, relazioni, affetti…), le persone con disturbo alimentare giudicano sé stesse in modo predominante sulla base del peso e delle forme del corpo.
Come visto in questo articolo, la prima conseguenza di tale nucleo è avere abitudini alimentari regolate da regimi dietetici ferrei (restrizione alimentare) che aumentano lo sviluppo di pensieri e preoccupazioni su alimentazione, peso e forme corporee che a loro volta mantengono lo schema di autovalutazione negativo. Secondo questo modello le abbuffate sono una conseguenza della restrizione alimentare: la rigida dieta che le persone si autoimpongono, alle lunghe comporta episodi in cui si fa uno sgarro, si cede alla tentazione di mangiare qualcosa in più del previsto e del programmato, ma questo, un attimo dopo, viene interpretato come una perdita di controllo che allora può autorizzare un totale discontrollo conducente all’abbuffata secondo una modalità di pensiero tutto-o-nulla (“Se ho mangiato anche solo un po’ di più di ciò che avevo previsto, tanto vale, ormai, mangiare tutto ciò che posso così mi tolgo la voglia una volta per tutte”). All’abbuffata seguono un forte senso di colpa e di inadeguatezza (“ho ceduto ancora una volta, non so controllarmi, sono debole”) e un’intensa paura di ingrassare (“diventerò un bue”) che spesso viene ridotta ricorrendo ai comportamenti di compenso: il vomito autoindotto, l’abuso di diuretici e/o lassativi, l’esercizio fisico e poi, di nuovo, la restrizione alimentare. Questi comportamenti oltre a determinare nel tempo gravi complicanze fisiche, contribuiscono al mantenimento del Disturbo Alimentare poiché determinano una riduzione del controllo sull’alimentazione.
La preoccupazione per il peso, per le forme corporee e il controllo dell’alimentazione è a sua volta mantenuta da alcuni errori di pensiero:
- Attenzione selettiva: le persone con DA sono particolarmente attente alle parole riguardanti il peso, le forme e l’alimentazione;
- Predizioni negative su peso, forme e controllo dell’alimentazione: “se non sarò magra non mi sentirò bene e non sarò all’altezza dei miei standard”;
- Pensieri critici ricorrenti sul peso e sulla forma del corpo: “le mie gambe sono grasse, faccio schifo”;
- Generalizzazioni: “ho fatto l’ennesima abbuffata, sono sempre un fallimento”;
- Standard doppio: “io mangio tanto, tu mangi giusto”;
- Minimizzazione: “il mio fidanzato dice che sono bella ma me lo dice solo per farmi piacere, in realtà non lo pensa”;
- Pensiero “tutto o nulla”: “o seguo la dieta ferrea o mi abbuffo” “o sono magra o sono grassa”.
Tra i fattori specifici ci sono anche i comportamenti che le pazienti affette da mettono in atto frequentemente per assicurarsi di avere il controllo dell’alimentazione, (ad esempio controllare le calorie sull’etichetta dei prodotti), e di non aver preso peso, (come pesarsi tante volte al giorno), o per ridurre l’ansia, (come evitare di esporre il proprio corpo ad esempio evitare di pesarsi o di guardarsi allo specchio). Questi comportamenti non fanno altro che aumentare le preoccupazioni per il peso, le forme corporee e l’alimentazione e, di conseguenza mantengono il disturbo. Molte pazienti riportano la sensazione di essere grasse e anch’essa contribuisce a mantenere il disturbo, in quanto agisce sul tono dell’umore orientandolo verso uno stato negativo (depressivo).
Oltre ai fattori specifici comuni a tutti i Disturbi dell’Alimentazione (DA) ci sono alcuni fattori esterni alla psicopatologia del DA, fattori aspecifici, che ostacolano il cambiamento:
- Perfezionismo: “Devo sempre raggiungere il massimo”, tratto personologico che porta la persona ad applicare gli standard perfezionistici nel perseguire i propri obiettivi sia nel controllo dell’alimentazione, del peso e della forma del corpo, sia negli altri ambiti di vita per lei fondamentali (scuola, lavoro, amicizie)
- Bassa autostima nucleare: “non valgo nulla”, rappresenta una visione negativa di sé, incondizionata e pervasiva, radicata nell’identità e atta a portare ad avere un’autostima negativa di sé indipendentemente dallo stile di vita, dai valori, dalle prestazioni e dai risultati. un’immagine di sé che vede nelle delusioni e frustrazioni la conferma del proprio disvalore e nei successi e riconoscimenti positivi da parte degli altri solo eventi dettati dal caso, dalla fortuna o dalla capacità di ingannare gli altri nascondendo la propria vera natura, che prima o poi verrà fuori. Queste persone sono convinte di vivere una vita ineluttabilmente destinata alla delusione e al fallimento;
- Intolleranza agli stati emotivi: “è insopportabile, non lo posso tollerare”, si tratta di una significativa difficoltà nel gestire adeguatamente stati emotivi come rabbia, ansia, senso di colpa che spesso comporta la messa in atto di comportamenti disfunzionali di modulazione dell’emozione (ad esempio autolesionismo, abuso di sostanze psicoattive, abbuffarsi o viceversa la restrizione);
- Difficoltà interpersonali: difficoltà nelle relazioni affettive o familiari, nei rapporti di lavoro, nel formare nuove amicizie o nel preservare quelle in atto diventano eventi che favoriscono la comparsa di un DA o una ricaduta o possono aggravare la sintomatologia di natura, un disturbo in atto
I Disturbi dell’Alimentazione (DA) costituiscono una grave entità psicopatologica a causa della difficoltà di trattamento, della frequente cronicizzazione e dell’elevata mortalità (10-15%). Sono la terza malattia cronica più comune nell’adolescenza, dopo l’obesità e l’asma e, secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) rappresentano un problema di salute pubblica in costante crescita nei Paesi industrializzati.
Dott.ssa Laura Angella
Psicologa e Psicoterapeuta presso Centro Itinera.
Dott.ssa Carolina Posenato
Psicologa e Psicoterapeuta presso Centro Itinera.