Quante volte ci sarà capitato di sentirci tristi, quante volte avremo avvertito quel senso di frustrazione e morale basso che poco ci predispone al “fare” ed allo stare in relazione con l’altro. In quei momenti, se proviamo pensare al nostro presente o addirittura al futuro, difficilmente riusciamo a scorgere aspetti positivi o rassicuranti.
Ma quando parliamo di tristezza, a cosa facciamo riferimento o più semplicemente, che cos’è la tristezza? In questo breve articolo cercheremo di descrivere questa emozione sia in termini fisiologici che cognitivi, senza dimenticare l’aspetto comportamentale, ossia ciò che risponde alla domanda “Cosa facciamo quando siamo tristi?”.
In linea con quanto vi abbiamo fin qui raccontato sulle pagine del nostro blog “Mens Sana”, vorrei partire dal descrivere l’emozione della tristezza in termini di ABC. Per farlo partiamo da un esempio molto semplice:
“Anna è una ragazza di 17 anni, frequenta il liceo classico della sua città con buon profitto, è una ragazza socievole e solare, con una buona rete di relazioni sociali ed un ambizioso progetto di vita. È molto legata alla sua famiglia, in particolare a sua nonna Celeste, con la quale ha da sempre un rapporto molto intimo. Le racconta tutto, con lei si confida e di lei si fida, tanto da considerarla un importante punto di riferimento, un porto sicuro quando le acque si fanno agitate. All’improvviso nonna Celeste si ammala e nel giro di qualche mese viene a mancare. Ad Anna sembra crollare il modo addosso, non riesce ad immaginare una vita senza di lei, “la sua amata nonnina”, come soleva chiamarla. Smette di uscire, di frequentarsi con le amiche e trascorre le sue giornate a letto, senza vedere o parlare con nessuno.”
La tristezza e il metodo ABC
Se vogliamo rapidamente tradurre in termini di ABC l’esperienza di Anna, abbiamo questo risultato:
A (evento attivante) | B (pensiero) | C (emozione) |
Nonna Celeste è morta | Non è possibile, non ce la posso fare senza di lei, la mia vita non ha senso, come farò ad andare avanti? | Tristezza Abulia Pianto Ritiro sociale |
Senza addentrarci più del necessario nella descrizione psicologica o psicopatologica dell’elaborazione del lutto, possiamo vedere come la perdita della nonna, abbia generato una serie di conseguenze, sia dal punto di vista cognitivo che emotivo, che hanno avuto un impatto significativo nella vita di Anna. Possiamo dire che ciò accade poiché la perdita della nonna, per Anna, ha rappresentato un passo definitivo, dal quale non si può più tornare indietro. Inoltre, possiamo senza timore d’errore sostenere che Nonna Celeste fosse per lei una presenza di vitale importanza.
In termini generali, questo esempio, ci consente di porre l’accento su una questione molto importante quando si fa riferimento alla perdita la quale infatti, per poter essere fonte di tristezza, deve essere significativa per la persona che la vive.
La tristezza e le sue componenti
L’esempio di Anna, è paradigmatico di una condizione in tutti, chi più chi meno, ci siamo trovati o ahinoi ci troveremo a vivere. Facciamo però un po’ di chiarezza. Le esperienze di lutto infatti, non sono le uniche situazione in cui si sperimenta una perdita e di conseguenza non sono le uniche esperienze in cui ci si sente tristi. Altre situazioni in cui ciò accade possono essere ad esempio:
- Fine di un’importante storia d’amore o di un’amicizia;
- perdita di un oggetto o di una condizione importante per noi (il lavoro, la casa, un ruolo sociale, ecc.);
- La non accettazione o l’esclusione sociale;
- Non raggiungere un obiettivo ambito (promozione, assunzione ecc…);
- Vivere un’esperienza indesiderata (malattia, licenziamento ecc..);
- fallimento (nel lavoro, nei rapporti interpersonali, ecc.);
Sempre dal punto di vista cognitivo, spesso la persona triste è caratterizzata da una serie di reazioni che sovente attivano dei circoli viziosi che tendono a perpetrare questa condizione. Alcuni di questi sono caratterizzati da:
- messa a fuoco sugli aspetti negativi degli eventi;
- sensazione di impotenza a modificare/controllare gli eventi;
- pessimismo circa il futuro;
- criticarsi, incolparsi dell’accaduto, abbassamento dell’autostima.
Tutte queste, ma non solo, sono condizioni che, se sperimentate, possono portare l’individuo a provare tristezza.
Venendo poi alla componente fisiologica, possiamo dire che sia sotto questo punto di vista che sotto quello puramente espressivo, la tristezza ha delle caratteristiche ben chiare, che risultano riconoscibili a chi si trova ad osservare la persona in questo stato.
Più nello specifico l’individuo triste:
- è inattivo, tende a muoversi poco e può sperimentare stati di agitazione;
- parla lentamente, sospira ed ha una tipica espressione facciale e posturale mesta, con abbassamento dello sguardo, ripiegamento su se stesso, spalle basse e una posizione generale di chiusura e pesantezza, come se letteralmente portasse un peso sulle spalle;
- piange, singhiozza e avverte un’occlusione gutturale comunemente definita “nodo alla gola”;
- può soffrire di disturbi del sonno tra cui la più frequente è l’insonnia e può presentare inappetenza.
Un’emozione non del tutto da evitare
Se ci atteniamo a quanto fin qui detto, è molto probabile che l’idea che ci siamo fatti della tristezza, ce la faccia vedere unicamente come un’emozione negativa, da evitare a tutti i costi. In realtà non è così, ma al contrario, la tristezza, ha una propria utilità e dei peculiari aspetti positivi che la rendono un emozione da non soffocare ma da vivere.
Innanzitutto la tristezza ha una grande importanza relazionale. Essa infatti, attraverso le sue manifestazioni esteriori (pianto, sguardo, postura ecc..) ha l’importante funzione di segnalare a chi ci sta intorno che in quel momento necessitiamo di aiuto e supporto. Oltre a ciò è noto come tale emozione abbia un ruolo fondamentale nel processo di elaborazione dell’evento spiacevole, fortemente implicata nei processi cognitivi e riflessivi che sono alla base di un delicato percorso che conduce l’individuo al raggiungimento di un nuovo equilibrio.
Alla luce di ciò è evidente come, per la persona coinvolta in un evento di perdita, il vivere la tristezza sia una tappa non solo inevitabile ma indispensabile per la metabolizzazione ed il superamento dell’evento stesso.
Ciononostante, è opportuno non abbassare la guardia e tenere in considerazione alcune manifestazioni che potrebbero segnalare la necessità di un intervento specialistico.
A questo aspetto dedicheremo uno specifico articolo, ma in estrema sintesi è da suggerire un consulto psicologico o psichiatrico nel momento in cui ci rendiamo conto che la nostra tristezza o quella di una persona a noi vicina, dura per un tempo prolungato e con essa la scarsa disponibilità a svolgere anche la minima attività, quando cioè la persona smette di uscire, di incontrare amici o parenti o addirittura di andare al lavoro. Accanto a ciò è bene non sottovalutare gli aspetti legati al pensiero, che divengono un campanello d’allarme nel momento in cui, se pensiamo al nostro presente, al futuro e alle relazioni, lo facciamo con sfiducia e notando soltanto gli aspetti negativi.
Dott. Jonathan Lisci
Psicologo e Psicoterapeuta presso Centro Itinera.