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Autolesionismo: ferite del corpo, ferite dell’anima

L’autolesionismo può essere definito come un “danno deliberato e autoinflitto al proprio corpo senza intento suicidario e per scopi non socialmente accettati” (International Society for the Study of Self Injury, 2018).

Esistono diversi tipi di autolesionismo, il più diffuso tra gli adolescenti è il cutting, letteralmente “incidere, tagliare”, che comporta il procurarsi intenzionalmente tagli sulla pelle, generalmente utilizzando rasoi, lamette, forbicine o altri utensili facilmente reperibili in casa. Altre modalità comuni riguardano: provocarsi bruciature o abrasioni, colpirsi, ad es. picchiando la testa contro superfici o muri; mordersi; strapparsi i capelli; grattarsi la pelle.

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Non è un fenomeno così raro

L’autolesionismo è un fenomeno diffuso soprattutto tra adolescenti e giovani adulti, con un’incidenza che prima della pandemia da Sars-Covid-19 era stimata tra il 15-20% (Ross et al., 2002), ma che ad oggi sta crescendo a preoccupanti velocità. L’età di esordio si aggira tra i 13 ed i 14 anni (Ross et al., 2002), con non sporadici casi di condotte autolesive a partire dai 10 anni d’età. Sia in adolescenza sia in età adulta l’incidenza dell’autolesionismo è più elevata tra la popolazione psichiatrica, in particolare in persone che soffrono di disturbi dell’umore, disturbi del comportamento alimentare, disturbo borderline della personalità; non sono da escludere però fenomeni di autolesionismo isolati o sporadici tra la popolazione generale.

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Criteri per la diagnosi di autolesionismo

Il DSM-5-TR (2022) include “Autolesionismo non suicidario” (NSSI: Not Suicidal Self Injury) come categoria diagnostica distinta. Lo definisce come una serie di atti intenzionalmente autolesivi nei confronti del proprio corpo condotti per almeno 5 giorni nell’ultimo anno.

La condotta autolesiva per essere tale deve essere preceduta da una o più delle seguenti aspettative:

  • ottenere sollievo da una sensazione/stato cognitivo negativo;
  • risolvere una situazione relazionale;
  • indurre una sensazione positiva.

Inoltre, il comportamento autolesivo deve essere associato ad almeno uno dei seguenti sintomi:

  • difficoltà interpersonali o sensazioni/pensieri/sentimenti negativi precedenti al gesto autolesivo;
  • preoccupazione incontrollabile per il gesto;
  • frequenti pensieri autolesivi.

Infine per essere tale deve provocare disagio significativo.

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Perché la persona adotta comportamenti di autolesionismo?

  • Autolesionismo come strategia di coping

L’autolesionismo può costituire una strategia di coping (gestione) e regolazione emotiva: di fronte ad uno stato emotivo indesiderato e vissuto come intollerabile, il soggetto si ferisce cercando di ripristinare uno stato tollerabile. Si potrebbe dire che la messa in atto di comportamenti autolesivi sia un tentativo di tramutare in sofferenza fisica (quindi più reale e più facilmente gestibile) una sofferenza emozionale che non si sa come gestire (Chapman et al., 2006; Klonsky, 2007; Kamphuis et al., 2007). In questo senso l’autolesionismo sembra assumere la valenza di una strategia disadattava di coping (nozione proposta da Favazza, 1998).

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  • Una punizione autoinflitta

Una seconda funzione dell’autolesionismo è la punizione autoinflitta: sembra infatti che, per alcuni soggetti, esista una relazione causale tra l’autocriticismo e i comportamenti di autodanneggiamento (Nock et al., 2008; Hooley & St Germain, 2013).

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  • Autolesionismo come comunicazione

Infine, l’autolesionismo può costituire una forma di comunicazione del proprio disagio. Attraverso le ferite, infatti, la propria sofferenza appare evidente agli occhi degli altri (Klonsky, 2007).

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Perché si fa autolesionismo: i fattori di rischio

Vi sono vari fattori di rischio individuali tra cui:

Esistono poi dei fattori di rischio sociali:

  • Eventi stressanti
  • Esperienze di abuso (sessuale, fisico e/o emotivo)
  • Problemi familiari (negligenza e conflitti)
  • Relazioni negative con i pari (bullismo, isolamento e mancanza di supporto)
  • Messaggi presentati dai social/videogiochi/tv (assuefazione, normalizzazione, generalizzazione e incoraggiamento al comportamento autolesivo)

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Autolesionismo e suicidio: quale relazione?

Sebbene gli atti autolesionistici abbiano una natura diversa rispetto ai tentativi di suicidio, esiste un forte legame predittivo tra i primi e i secondi.

Le condotte autolesive sono più frequenti e prevedono comportamenti con conseguenze meno gravi rispetto a quelle utilizzate nei veri tentativi di suicidio. Inoltre le persone che le attuano non sono mosse dal desiderio di porre fine alla loro esistenza.

I comportamenti autolesionistici rappresentano un fattore di rischio per il suicidio. Questo perché con il passare del tempo possono desensibilizzare le persone dal dolore fisico aumentandone così la capacità di metterlo in atto.

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I segnali da non sottovalutare: come accorgersi dei comportamenti autolesivi?

Riconoscere i segnali dell’autolesionismo non è sempre facile, poiché molti adolescenti cercano di nascondere le loro ferite per paura del giudizio o di essere fraintesi.

Tuttavia, esistono alcuni indicatori che possono suggerire la presenza di questo comportamento:

  • vestiti non appropriati alla stagione, ad esempio indossare esclusivamente camicie o magliette con le maniche lunghe in piena estate;
  • macchie di sangue sui vestiti;
  • ferite, lividi o tagli non spiegati;
  • possesso di oggetti taglienti (rasoi, lamette, forbici, coltellini, aghi, pezzi di vetro);
  • isolamento, ad esempio passare molto tempo in bagno;
  • irritabilità;
  • difficoltà nel fronteggiare emozioni forti;
  • rabbia eccessiva o umore depresso;
  • mancanza di legami sociali;
  • disegni, scritti ecc. che hanno per tema il dolore, la tristezza, il ferirsi.

 

Riconoscere questi segnali in modo tempestivo è fondamentale per intervenire e offrire alla persona il giusto supporto.

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Dott.ssa Carolina Posenato

Psicologa e Psicoterapeuta presso Centro Itinera.

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